Tourette, appunti sullo sbraitare

❝Ho individuato questa sindrome, che a quanto pare dilaga negli ultimi tempi, l’estrema risorsa che resta all’uomo di sfogare la sua rabbia contro il mondo: la mente, la coscienza, l’intelligenza ormai tacciono, hanno dato forfait. Non c’è più né voglia né forza di dire “no”, di contrastare in qualche modo il corso delle cose. Questo compito se l’è preso, proditoriamente, il nostro corpo, che agisce fuori di ogni controllo.
Non è un caso che questo scostumato fastidio venga anche chiamato sindrome del cervello sbraitante.❞
Vincenzo Cerami, La sindrome di Tourette

La sindrome del cervello sbraitante, ovvero Tourette.
Non ho la sindrome di Tourette, me l’ha detto il dottore, mi ha detto che sono crisi affettive, ma secondo me si sbaglia.
Mi ha detto di tenere un diario, di scriverci tutto e di portarglielo ogni settimana, e allora oggi voglio scrivere della sindrome di Tourette, perché l’ho incontrata in un libro mentre ero al mare.
Dunque, Tourette. So che riguarda il comportamento: linguaggio, mimica, sguardo. E’ un regredire all’animalità, quella degli uomini, perché gli animali non sono mai fuori luogo.
Qualcuno grugnisce, e si sa che il grugnito sta bene in bocca al maiale, di certo non all’uomo.
Chi ha la sindrome di Tourette è volgare, nelle apparenze e forse anche nella mente, però non capisco ancora cos’abbia della sindrome, perché siamo arrivati a dichiararla tale: cos’è che la distingue da un comune bifolco?
I sintomi possono essere più o meno accentuati: non solo chi si dimena e sbraita è considerato malato, ma anche chi semplicemente adopera un linguaggio esageratamente scurrile (coprolalia), in un contesto che non giustifica tale violenza verbale.
Ma qual è un contesto che potrebbe giustificarla?
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Lo Stress.
Gli stressati sono particolarmente violenti.
Sono irascibili e ricorrono all’offesa perché lo stress non consente loro di argomentare ragionevolmente – un cattivo espediente retorico.
Come si distingue uno stressato da un affetto da sindrome di Tourette?
Non lo so. Ho conosciuto e conosco molti buoni candidati per questa sindrome, e molti, che però non conosco, credo si annidino anche negli ambienti politici di estrema destra, però loro continuo a considerarli mele bacate, malati o meno.
Ne conosco molti, e spesso ci casco anch’io: mi capita quando non trovo sfoghi, oppure quando i pensieri mi si affollano rintoccando, come in una cassa di risonanza. Allora mi trema l’occhio, sento la pressione sulla palpebra e un imbarazzo sciocco mi porta a coprire lo sguardo traballante con una mano.
E’ sempre l’occhio sinistro. Il destro è più piccolo, è un’asimmetria visibile solo allo specchio, o dopo una forte sbronza.
L’alcol rientra nella sindrome?
Può darsi, l’alcol c’entra sempre, più della droga, forse perché più antico.
Sarà che anche le sindromi lo sono, antiche, meno antiche le loro definizioni.
Adesso definiamo tutto, è anche questa una sindrome.
Gli enciclopedisti dovevano essere dei bei casi da lettino freudiano.
Che fine ha fatto il lettino freudiano?
E’ diventato arte, e anche scusa: ho la sindrome dell’inettitudine, non posso lavorare, farmi una famiglia, mettermi a dieta.
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Pure i grassi sono malati, alla faccia delle nonne e delle loro parmigiane.
Io mi preoccupo costantemente del grasso, e fieramente sfoggio sterno, clavicole, costole.
Mi piace vedere la collana curvarsi sulle ossa, e la fascia lasciare il vuoto fra le scapole.
Gli uomini, però, guardano più i petti pieni e le schiene sudate.
Allo specchio, in ogni caso, devo guardarmi io ogni giorno, non loro; e loro, in fondo, ogni tanto guardano anche me.
Lo specchio anche può diventare una sindrome: puoi guardarti e invaghirti di te stesso, puoi non riconoscerti, indagarti.
Lo specchio è un po’ bugiardo perché per vederciti devi star fermo, mentre nel mondo ti muovi, e questo difetto fa un po’ arrabbiare.
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Dunque dobbiamo stare al mondo, cosa costantemente ostacolata dalle sindromi.
Vivere potrebbe essere un raggirare i sintomi, il lasciarceli dietro, seminandoli.
L’adolescenza è una sindrome, che quasi tutti superiamo con qualche cicatrice.
Poi ci sono quelli che non la superano, ma anche questa è una sindrome.
La vita adulta dovrebbe essere quella libera dai disturbi, quella troppo indaffarata nelle faccende pratiche per distrarsi con le malattie.
Un po’ come i contadini di una volta, che non andavano a teatro, ma che non si sarebbero mai sognati di grugnire come i loro maiali.
“Volgare” viene da volgo, però il volgo non è volgare; strana cosa la lingua.
I nobili facevano i loro bisogni su sedie bucate e mescevano i loro odori a profumi e unguenti, e di certo non doveva essere una gran bella cosa passar loro accanto.
Oggi siamo più puliti. Troppo puliti.
Così anche l’igiene è diventata una sindrome, una di quelle da supermercato.
I supermercati guadagnano parecchio dalle nostre manie, hanno reparti per ogni più subdola fisima, e tutti ben forniti.
E non solo i supermercati: librerie, musei, collezioni, teatri, tecnologie, media; basta scegliere la malattia che più ci aggrada e seguirla.
Da quale prodotto potrebbe essere attratto un “cervello sbraitante”?
Così, senza pensarci, mi vien da pensare a un film d’azione, di quelli col cattivo con la sindrome di Tourette.
Tutti vogliamo vedere la nostra sindrome sul maxi schermo, e delle altre ce ne infischiamo o le assimiliamo alla nostra, e se nessuno si cura di raccontare la nostra sindrome, allora la raccontiamo noi.
Così nasce molta arte. Anche molta cattiva arte.
E’ che non tutti i disturbi sono buone fonti d’ispirazione, l’arte richiede metodo e costanza, non debolezze da femminuccia.
Ecco, allora, romanzi frettolosi, sceneggiature incoerenti, installazioni solo ingombranti, materiali raffazzonati…
Adesso anche scrivere è diventato una sindrome, o forse un’isteria collettiva: tutti scrivono, stampano, vendono libri, leggono nella piazza del paese; cosa ci guadagna l’arte? cosa ci guadagnamo noi?
Guadagneranno certamente quelli che vendono tastiere – a penna non scrive più nessuno -, immagino si romperanno prima, dato l’uso smodato che se ne fa.
Noi però non si sa cosa ci guadagniamo, non saprei proprio.
Leggo pochi nuovi romanzi, la mia libreria è un grande cimitero.
Mi hanno detto che sbaglio, che non dovrei criticare quel che non conosco, eppure non riesco, mi sembra tutto già visto, tutti questi piccoli drammi esistenziali, tutte queste storielle personali, senza sbocco sull’infinito. E che me ne faccio? Stai male? Curati, non scriverci un libro!
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Dunque oggi è tutto così, tutto già visto, un continuo ripetersi che neanche le lancette dell’orologio, almeno loro ogni tanto perdono qualche colpo!
E’ una sindrome anche questa, quella dell’uguale, forse ancora non è ben studiata, ma sono certa che prima o poi qualche psichiatra la metterà nel dizionario, tanto a voi psichiatri va bene tutto: purché i pazienti paghino.
La cosa drammatica è che tutti si sentono diversi, tutti vanno in crisi quando li metti di fronte alla verità: siamo tutti una manica di smidollati perfettamente uguali.
Però no: loro vogliono per forza essere diversi, poi glielo dici, che diversi non sono, e via con Tourette: grugniti, tic, parolacce… Eeeh, è questa la vera Tourette, la volgarità di chi non sa accettare le cose come stanno, la crisi di chi non riesce a uscire dal pantano!
Sì sì, forse non è proprio così semplice, forse la sindrome che ai medici piace è un po’ più definita, ma lo sappiamo tutti che non tutti i malati sono uguali, che i sintomi possono variare, che non bisogna per forza uccidere 23 persone per essere un serial killer, esistono anche gli assassini potenziali.
La sindrome di Tourette è un rischio potenziale in tutti noi, questa è la verità.
E come facciamo a curarci tutti?

2 pensieri riguardo “Tourette, appunti sullo sbraitare

  1. Ti giro il commento di Spassky (che per inciso ha molto apprezzato).
    Per lei viviamo in una società alla frutta. La generazione che si sente in diritto di poter mangiare solo dolce, cui hanno appena servito la torta. Alla fragola. Ma fa caldo, e si squaglia e nessuno la mangia, anzi, restiamo lì a guardare disegnarsi sulla fragola i buchi neri che sono proprio le nostre sindromi e le nostre debolezze.
    Siamo fuori tempo massimo anche per il dolce.

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    1. Siamo anche al diabete, per via del dolce. Il fatto di lasciarla andare a male, la torta intendo, rende bene l’inerzia che attanaglia molti, questo rannicchiarci sempre più su noi stessi, sempre più immobili. E grazie a Spassky, sia per l’apprezzamento che per l’immagine :)

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